Non è un caso se Charles Darwin, durante il suo leggendario viaggio a bordo del brigantino Beagle abbia tratto gli spunti fondamentali per formulare la teoria dell’evoluzione delle specie proprio visitando le Isole Galapagos. Grazie all’isolamento geografico, alla scarsità di risorse e, spesso, all’assenza di mammiferi terrestri, le isole sono infatti i luoghi dove l’effetto della selezione naturale sulle popolazioni animali e vegetali è più facile da osservare: viene favorito il differenziamento delle popolazioni insulari che col tempo perdono, rispetto ai cugini che abitano i continenti la capacità di difendersi dai predatori e di competere con specie simili, mancando spesso nelle isole sia i primi che le seconde.
Le isole sono quindi un importantissimo hot-spot di biodiversità: pur rappresentando solo il 5% delle terre emerse, ospitano oltre il 15% delle specie terrestri, molte delle quali si trovano unicamente su una o pochissime isole. Queste particolarità rendono però gli ambienti e le specie insulari eccezionalmente vulnerabili: sei estinzioni recenti su dieci sono avvenute infatti nelle isole dove vivono quasi quattro specie su dieci classificate come “in pericolo critico di estinzione”.
L’introduzione di specie aliene, e in particolare di mammiferi terrestri, è di gran lunga la principale causa di estinzione per le specie insulari.
Per moltissime specie di uccelli marini, che si riproducono quasi esclusivamente nelle isole e non hanno evoluto comportamenti difensivi verso i predatori terrestri originariamente assenti, l’arrivo nelle loro aree di nidificazione di ratti, gatti e altri mammiferi è stato catastrofico: molte specie si sono estinte, altre sono state decimate e riescono a sopravvivere solo nelle pochissime aree dove questi predatori non sono ancora arrivati.
La superficie limitata e l’isolamento geografico, fa sì che nelle isole però, a differenza delle aree continentali, siano spesso realizzabili con successo interventi di eradicazione di molte specie aliene.
Le tecniche sempre più sofisticate e i protocolli operativi sperimentati e standardizzati oggi danno un’elevata possibilità di successo a costi economici molto contenuti se paragonati ai più “tradizionali” interventi di conservazione e permettono operazioni sempre più ambiziose, con eradicazione contemporanea di più specie invasive su isole sempre più grandi.
Delle circa mille eradicazioni di vertebrati introdotti ad oggi realizzate nel mondo, le specie target più frequenti sono stati i ratti, seguiti a notevole distanza da capre e gatti inselvatichiti.
Proprio i ratti e i gatti sono le specie aliene che causano il maggior numero di estinzioni, ma fortunatamente, per queste specie la percentuale di successo delle eradicazioni è sempre molto elevata, oltre l’85%. La maggior parte delle operazioni è stata condotta su isole relativamente piccole, sotto i 5 chilometri quadrati, anche se eradicazioni di successo di ratti, capre e gatti inselvatichiti sono state completate anche su isole molto grandi, fino a 250 chilometri quadrati. L’isola britannica di South Georgia, nel circolo polare antartico, con i suoi 600 chilometri quadrati di superficie sarà presto l’isola più grande dichiarata rat-free a seguito dell’eradicazione del ratto grigio (Rattus norvegicus).
I risultati ottenuti in termini di protezione delle specie autoctone, sono eclatanti. Secondo una recente ricerca di Jones e colleghi, pubblicata su PNAS nel 2016, quasi 800 popolazioni appartenenti a oltre 300 differenti specie autoctone hanno beneficiato in termini di conservazione delle eradicazioni di diverse specie di mammiferi introdotti.
Fra i successi più significativi citati dallo studio vi sono i casi di tre diverse specie di uccelli marini e, inaspettatamente, di una volpe endemica delle Channel Islands della California che a seguito dell’eradicazione della specie che le minacciava, sono state riclassificate a un livello inferiore di rischio di estinzione, e di ben 123 ricolonizzazioni di isole da parte di specie autoctone.
Anche nelle isole italiane sono stati registrati grandi successi: nell’Arcipelago Toscano, dopo 15 anni dall’eradicazione dei ratti, sull’isolotto La Scola, vicino a Pianosa, la popolazione di berta maggiore è almeno quadruplicata, mentre sulla ben più vasta Montecristo, la più grande isola mediterranea rat-free, la berta minore ha raggiunto un successo riproduttivo che oscilla fra il 70 e il 90%. Un risultato enorme se si pensa che prima dell’eradicazione dei ratti non si arrivava 10%. Sono una ventina le isole italiane dove è stata realizzata o è attualmente in corso l’eradicazione dei ratti, mentre solo a Pianosa si sta completando quella dei gatti inselvatichiti. Queste eradicazioni sono mirate principalmente a tutelare due specie di uccelli marini: la berta maggiore e la berta minore. Se verrà confermato il successo di questi interventi nelle isole che ospitano le principali popolazioni, circa i 2/3 delle berte maggiori e addirittura l’85% delle berte minori non saranno più oggetto della predazione da parte dei ratti.
Dato che l’Italia ospita gran parte della popolazione mondiale di berta minore, ci si può attendere che nel giro di alcuni anni questa specie, in calo da decenni, possa invertire la tendenza e che addirittura possa essere tolta dalla lista delle specie a rischio di estinzione.
Le operazioni completate in Italia sono importanti ma resta ancora molto da fare per proteggere le berte e molte altre specie autoctone. L’eradicazione dei ratti permette la tutela di numerosi specie di invertebrati, rettili come lucertole e gechi, piccoli uccelli e mammiferi quali pipistrelli; in generale tutti animali di medie e piccole dimensioni che i ratti riescono a raggiungere. Permette inoltre la diffusione di piante i cui semi vengono altrimenti consumati dai roditori, ed è quindi seguita da un progressivo recupero della vegetazione originaria.
Questa misura di conservazione apparentemente anomala (si eradicano popolazioni animali, sebbene “aliene”, per favorirne altre), che spesso consiste nella cattura e nel trasporto degli animali in aree idonee, è spesso avversata da alcuni settori dell’opinione pubblica, ma pur non essendo facile da comprendere e accettare, è certamente uno degli strumenti più efficaci a disposizione di chi si occupa di conservazione della natura.
Riferendoci alle eradicazioni più frequenti, possiamo quindi concludere che oggi abbiamo la possibilità di decidere fra ratti e uccelli marini. Il non intervento è già una scelta.